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First Run: 2016
Tutto iniziò una sera di tarda primavera. Avevo da poco acquistato un paio di generiche scarpe sportive Nike, e capitò l’occasione di testarle durante una corsa di gruppo lungo un percorso di dieci chilometri. Considerato che sono sempre stato incline a correre veloce sulle brevi distanze, ingenuamente credevo che sarebbe stato sufficiente rallentare per coprire senza problemi uno spazio maggiore. Invece, dopo poche centinaia di metri, mi trovai già senza fiato e con la classica fitta alla milza del principiante: mestamente, rincasai camminando.
Durante l’estate ritentai più volte di abituarmi alla corsa, ma durante ogni uscita i miei piedi si riempivano di fastidiose vesciche che poi cercavo di arginare con cerotti, inutilmente. Con l’inizio del tirocinio al far dell’autunno, trovai l’autogiustificazione perfetta per appendere le scarpe al chiodo. Ormai aborrivo correre.
Second Run: 2017
Nel corso dell’estate successiva finii il tirocinio e, non avendo ancora idea di che direzione avrebbe preso la mia vita dopo la morte di Lorenzo, decisi che nel frattempo sarebbe stato comunque utile rimettersi in forma: mi sarei sforzato di fare il corridore serio, quello che esce tutti i giorni stesso posto stessa ora. Per l’occasione investii pure in un nuovo paio di scarpe da corsa, marca Mizuno, tanto per darmi arie da professionista.
Nell’arco di tre mesi andai a correre la bellezza di sei volte.
Questo perché il problema delle vesciche venne rimpiazzato da un altro, ben più molesto: la periostite tibiale posteriore, ossia l’infiammazione della membrana che avvolge l’estremità inferiore della tibia. A prescindere dalle sue cause, che non sono mai riuscito a definire con esattezza, di fatto mi provocava un dolore acuto ed intermittente, paragonabile ad una serie di coltellate nello stinco. La cosa assurda è che non compariva tanto durante l’attività, ma soprattutto a notte fonda; anche qui mai compreso il motivo.
Stanco di dover attendere giorni per la naturale dissoluzione del male e complice l’avvento della brutta stagione, riposi le scarpe nella loro scatola, in attesa di tempi migliori.
Third Run: 2018 (Pre-Islanda)
Trascorsi gran parte dei mesi autunnali ed invernali a pianificare accuratamente il mio bikepacking in Islanda che, in quanto tale, presupponeva una significativa preparazione. Così, allo sbocciare della primavera, ritornai sulla strada a consumare sia suole che pneumatici. Ben presto quella dannata infiammazione si fece risentire, ma non potevo certo far passare troppi giorni tra allenamenti consecutivi, pertanto cominciai ad imbottirmi d’aspirina quando possibile e a sopportare quando non più possibile. Le sessioni proseguirono quindi in modo tutto sommato sereno, fatta eccezione per una, che fu particolarmente istruttiva.
Era un tardo pomeriggio estivo e, nonostante l’afa esagerata, mi sentivo particolarmente vigoroso ed ispirato, tanto che decisi di prolungare di mezz’ora la mia solita corsetta di un’ora. Raggiunto con successo il nuovo termine, il mio corpo mi disse di continuare ancora a correre… in bagno, però. Purtroppo, l’assetto corsa non è fisicamente compatibile con la contrazione dei glutei, dunque dovetti camminare piano, molto piano; come sempre accade in queste circostanze, arrivai a casa appena in tempo. Da quel momento, non corro mai senza qualche compressa d’imodium in tasca (pro-tip #1).
Archiviata questa disavventura, restai in costante esercizio fino a che l’eccitante anticipazione del viaggio non prese il sacrosanto sopravvento, giusto una settimana prima di partire.
Fourth Run: 2018 – 2019 (Post-Islanda)
Una volta tornato dall’Islanda, un’inattesa confusione mentale non mi concesse il lusso di riprendere le corse per addirittura un trimestre. Poi, all’alba del mio compleanno in dicembre, fissai un rigido obiettivo: a partire dal giorno seguente e per il resto della vita, sarei sceso in pista almeno due volte a settimana. Sì, avrei provato subito l’ebbrezza del correre col freddo e potenzialmente con pioggia o neve, tutte esperienze inedite ed ora ambite; peccato che, pur uscendo davvero spesso, non mi capitò mai una singola giornata con precipitazioni. Ciò che invece si presentò di nuovo fu la periostite, scocciatura che tuttavia non impedì al mio appuntamento con l’asfalto di farsi sempre più una piacevole abitudine.
A metà aprile, forse per uno scherzo del destino, tutto il lavoro fisico e mentale che stavo realizzando su me stesso subì una brusca interruzione: la priorità del momento era difendere il benessere di Bico, non il mio.
Fifth Run: 2019 – Ora
Concluso il periodo di auto-reclusione, Luca mi chiese se volessi allenarmi insieme a lui per la gara a cui si era iscritto, la Bergamo Urban Trail: un percorso di 20 km lungo il parco dei colli, con 700 m di dislivello positivo. Benché io non vi potessi partecipare poiché il termine ultimo delle registrazioni era già passato, ovviamente accettai; ero a digiuno di chilometri da troppo tempo, e mi erano alquanto mancati.
Corse tanto lunghe in piena estate fecero emergere due nuovi problemi, che denominerei di “intimo attrito”: lo sfregamento fra capezzoli e maglietta sportiva provoca il loro sanguinamento, mentre fra gonadi ed interno coscia provoca una reciproca irritazione. Soluzioni: nastro adesivo a X sui primi e boxer attillati sulle seconde, ancor meglio se preventivamente spolverate con borotalco (pro-tip #2). Forte dell’eliminazione di queste due seccature, mi dedicai allora a quella che mi accompagnava ormai da due anni; dovevo assolutamente riuscire ad estinguere l’infiammazione una volta per tutte, senza più ricorrere a farmaci. Mi misi così a testare tutte le opzioni suggerite sul web, ma nessuna produsse alcun effetto apprezzabile, eccetto una: la crioterapia dei poveri. Due panetti di ghiaccio legati intorno alle caviglie ogni mattina e sera per tre mesi, et voilà, problema risolto a lungo termine (pro-tip #3). Ad oggi, i risvegli notturni non sono altro che un ricordo lontano.
Grazie a quell’invito rifissai facilmente i miei appuntamenti bisettimanali, sudai per tutta la restante stagione estiva e, per qualche strano motivo, cominciai a prendere l’affare corsa molto più seriamente di quanto avessi mai fatto. Tant’è che proposi a Luca di riprendere ad allenarci insieme per partecipare ad una delle prossime edizioni della New York City Marathon (2022 forse?). Ero certo che avrebbe approvato il piano senza pensarci minimamente, ed infatti il resto è storia.
Brackets: Marzo – Aprile 2020
Durante il periodo di isolamento virus-correlato non potei ovviamente andare a correre, ma soltanto restare. In altre parole, corsi in tondo entro i tre metri quadri di camera mia dove il soffitto è alto a sufficienza (grazie, mansarda). Nonostante le vesciche, la nausea e le vertigini al termine, riuscii comunque a completare tutte le sessioni previste. Niente e nessuno mi avrebbe allontanato dal mio nuovo obiettivo oltreoceano.
Retrospezione
Quattro anni per riuscire ad amare la corsa, quattro anni. Forse più di altre, correre è un’attività sportiva che premia volontà e determinazione: la fatica e la sofferenza che prevalgono agli inizi non svaniscono mai, semplicemente col tempo si impara a sublimarle in forza e soddisfazione. Quando ciò accade, perché ad un certo punto accade, si prova una sensazione di tale vitalità che non può essere tradotta in parole. E quando si corre nella natura, la vitalità suscita la commozione di poter ancora godere della sua inenarrabile bellezza: sentieri spettrali, scorci inattesi, atmosfere aliene, scenari immensi, silenzi smarriti. Momenti di pura grazia dove mi sento finalmente pieno, libero ed irrimediabilmente presente nell’istante di ogni passo.
Per questo, se incombe una qualche malinconia, vado a correre (pro-tip #4).
