> A differenza di ogni altro mezzo giorno dedicato alla corsa, quel venerdì d’inizio primavera portò con sé colore grigio ed aria graffiante. Red, occhiali sul naso e musica in cuffia, montò in sella e raggiunse l’anello asfaltato dov’era solito allenarsi due volte la settimana: la noiosa costanza del percorso eliminava ogni variabile oltre a sé stesso. Adorava correre per via della sua inerente qualità meditativa: l’atto di forzare il corpo a muoversi nello spazio consentiva di ancorare nel presente una mente mai ferma nel tempo. Così, un’ora di continuo impegno era normalmente accompagnata da un gradevole stato di leggerezza. Non quel giorno.

A circa tre quarti dalla fine, Red soffrì di un’improvvisa fitta nella regione destra dell’addome, tanto violenta da costringerlo a rallentare sino a camminare. Come un’allucinazione il dolore si dissolse dopo pochi secondi, e lui si sentì di completare di corsa gli ultimi minuti che lo separavano dal traguardo orario. Durante il breve tragitto di ritorno a casa, provò una peculiare sensazione di sordo torpore; nulla che una doccia tiepida non sarebbe riuscita a rimediare, pensò.

Nel primo pomeriggio il male riemerse più in basso, facendosi ora pulsante e persistente. Non gli era nuovo: sei anni prima era stato afflitto da coliche renali, identica impressione, ma questa replica era assai più intensa e duratura. Dodici ore, sei milligrammi di morfina, un’eco e una minzione di sabbia e sangue più tardi, Red fu dimesso dal pronto soccorso con la diagnosi attesa e la prescrizione di bere più acqua. Era notte fonda, ormai. A casa, Bico lo accolse con quella perfetta felicità che soltanto un cane sa provare. Ma c’era qualcosa che non andava: presto cominciò ad ansimare, si acciambellò nella sua cuccia e lì rimase immobile a dormire.

Mentre nei due giorni successivi le coliche del primo svanirono a poco a poco, le anomalie comportamentali del secondo si esacerbarono: durante i suoi giretti quotidiani, Bico aveva iniziato a guaire casualmente ed a manifestare in modo chiaro il desiderio di rientrare. La veterinaria riscontrò spasimi addominali riconducibili ad imprecisati problemi gastroenterici, da indagare tramite eco qualche giorno più tardi. Nel frattempo, però, la cura antispastica si stava dimostrando del tutto inefficace e le condizioni di Bico si stavano aggravando rapidamente: non camminava più bene ed i suoi occhi imploravano aiuto. Red pregò che l’unico essere a cui voleva più bene di sé stesso non stesse per morire, sarebbe stato davvero troppo.

In assenza di una diagnosi certa dopo visite veterinarie quasi quotidiane, la scelta più logica fu quella di rivolgersi ad una diversa clinica, ricca di specialisti e strumentazioni. In seguito ad un esame neurologico e annessa risonanza, finalmente una risposta: ernia del disco emorragica causata da una precoce degenerazione intervertebrale; la conseguente compressione spinale avrebbe potuto determinare la paralisi degli arti posteriori. Due le opzioni, trattamento farmacologico e riposo forzato (buone probabilità di ripresa) oppure intervento chirurgico e riposo forzato (ottime probabilità di ripresa). Per Red la concezione di “buono” non era mai stata abbastanza, che fosse allora per la seconda alternativa.

Il neurochirurgo operò immediatamente, ma fra la lenta procedura di risveglio ed il periodo di stretta osservazione, la famiglia di Bico poté fargli visita solo due giorni dopo. Il pomeriggio seguente venne dimesso con una lunga sfilza di medicinali ed indicazioni terapeutiche, finalizzate a minimizzare i rischi post-operatori: due settimane di reclusione totale in gabbia più altre sei settimane di reclusione parziale, divieto assoluto di leccarsi le ferite, mettersi in piedi, saltare sul divano e fare le scale. Tenere fermo per tutto quel tempo un cane giovane abituato a giocare sarebbe stata un’esperienza quantomeno peculiare, supposero.

Nella vita vi sono momenti in cui è giusto e doveroso dare la priorità alla tutela del benessere altrui, piuttosto che del proprio. Red si trovava in uno di essi, pertanto spese due mesi a prendersi cura di Bico e a sorvegliarlo a vista giorno e notte, mettendo così in pausa ogni sua attività, progetto e sogno. Disconnessione completa dal mondo. Soleva accostare la gabbia alla televisione per guardare con un occhio un cane in cattività e con l’altro documentari su animali in libertà, un ironico binomio. Ma il tutto prese presto una piega poco divertente, perché quell’inerzia indusse Red a pensare troppo e troppo negativamente a quel che riempiva le sue giornate di primavera.

Bico non avrebbe più potuto correre con altri cani e salterellare nella neve, un qualunque movimento falso, avrebbe potuto essere colpito da una nuova ernia, non si meritava nulla di tutto questo, fanculo. Il pianeta stava venendo mutilato da gente motivata solo ad esaudire la triade dell’ego soldi-fama-potere, un qualsiasi momento critico, avrebbe perso l’equilibrio naturale dato da quella sua biodiversità che consente alla vita di prosperare, non si meritava nel modo più assoluto la specie umana, vaffanculo. Inoltre c’era da aspettare ed aspettare, una prassi che in prigione pretende tanto di quel tempo, che finisce per diventare il logorio insopportabile di giorni fra loro indistinguibili.

Pensieri che dipingevano le quattro forme della sofferenza, ossia tristezza, paura, rabbia e stanchezza. Queste, complice anche l’accumulo di tutta un’altra serie di avvenimenti avversi, definirono per Red quel classico “periodo no” che regolarmente vessa ogni creatura sulla faccia della terra. E qualora la sofferenza sia significativa, diviene la madre di (quasi) tutte le violenze: se internalizzata, verso sé stessi; se esternalizzata, verso gli altri. Declinazioni senz’altro varie e differenti, eppure sempre e comunque disadattive.

Qualunque sia stata la sfumatura da cui Red si lasciò alle volte sopraffare nel corso di quelle otto settimane, il loro termine coincise con la fortunata occasione di trascorrere qualche giorno lontano da casa. Ebbe quindi il tempo per osservare a distanza lo spazio buio dei propri pensieri, prenderne consapevolezza ed infine sublimarli nel loro diretto ma non utopico contrario. Un luogo dove sì, Bico non avrebbe più potuto fare alcuni sforzi, ma non sarebbe stato certo meno felice e meno abile a rendere altrettanto la sua famiglia, ogni singolo dì. Un luogo dove sì, la gente mossa esclusivamente dall’ego sarebbe continuata ad esistere, ma pure esseri umani capaci di creare e non annientare, di rispettare le regole e non infrangerle, di collaborare e non competere, di guardare al futuro delle nuove generazioni e non solo al presente delle vecchie.

Affinché potesse concentrare selettivamente la sua attenzione su un simile contenuto mentale, Red si affidò ancora a quel correre riflessivo che a lungo aveva sacrificato. Non gli ci vollero molte sessioni per convincersi che felicità ed umanità erano due doti preziose che gli sarebbe piaciuto immortalare.

Ma questa è una storia per altri tempi.

Me

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